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mercoledì 9 luglio 2014

I cinque trucchi con cui la Germania bara sui conti




I cinque trucchi con cui la Germania bara sui conti

Banche pubbliche, debiti dei Comuni, rispetto delle regole: sono i più bravi o solo i più furbi?



Sean Gallup/Getty Images



Non è stato un giorno qualunque, lo scorso 2 luglio: mentre il premier Italiano Matteo Renzi presentava le linee programmatiche del semestre italiano di Presidenza Ue al Parlamento europeo, trovandosi a dover rispondere alle critiche del capogruppo del Ppe Manfred Weber sui conti pubblici dell’Italia e sulla sua inopportuna richiesta di maggior flessibilità sulla linea del rigore, in Germania il consiglio dei Ministri approvava il piano del ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble per raggiungere il pareggio di bilancio federale nel 2015. Uno smacco, questo, che si somma al già consistente complesso d’inferiorità dell’Italia nei confronti dei tedeschi: più rigorosi, più efficienti, più competitivi, più onesti. In ultima analisi, molto più bravi e meritevoli di noi.
Domanda innocente: è davvero così? Sì e no. O meglio: che i tedeschi sappiano badare ai loro interessi meglio di noi è fuori discussione; che non sprechino denaro pubblico in mille inutili rivoli, pure; che abbiano imprese che trainano l’economia meglio di una nave rimorchio, anche. Tuttavia, è vero che la differenza tra i nostri e i loro risultati è anche l’effetto di alcuni trucchetti – se così si possono chiamare – che ampliano il divario tra i nostri e i loro bilanci e, soprattutto, tra la nostra e la loro economia, ben oltre i reali valori e meriti. Beninteso, (quasi) tutto perfettamente legale e ben noto nella cerchia degli addetti ai lavori. Forse, fuori da quella cerchia, non abbastanza. Per questo vale la pena di provare a spiegarle per bene, di nuovo.
In Italia c’è la Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), in Germania la Kreditanstalt für Wiederaufbau, la Banca per la ricostruzione (post-bellica), per gli amici Kfw. Entrambe sono di proprietà pubblica: la Cdp è all’80,1% del Ministero dell’Economia e delle Finanze, per il 18,5% delle fondazioni bancarie e per l’1,5% di azioni proprie. La Kfw è al 80% di proprietà del governo federale e al 20% dei diversi lander (l'equivalente delle nostre regioni, ndr) in cui è suddiviso il territorio tedesco. Entrambe, per finanziarsi, emettono dei titoli. La Cdp sottoforma di obbligazioni, la stragrande maggioranza delle quali coperte da garanzia statale. La Kfw, pure, emettendo titoli a tassi bassissimi grazie al doppio filo che la lega al governo tedesco e ai suoi affidabilissimi Bund.
La Kfw è pubblica ma i suoi debiti, per la contabilità tedesca, non sono debito pubblico
La Cdp raccoglie ogni anni circa 320 miliardi di euro, la Kfw circa 500 e li reinveste concedendo prestiti a tassi irrisori alle piccole e medie imprese e controllando ingenti quote del capitale di colossi come Deutsche Post e Deutsche Telekom. C’è solo una piccola differenza: i 300 miliardi di debito contratto dalla Cdp coperto da garanzia statale entra nel conteggio del debito pubblico italiano. I 500 miliardi di euro della Kfw invece no. Il motivo è una regola contabile dello Stato tedesco che esclude dal debito pubblico le società pubbliche che si finanziano con pubbliche garanzie ma che coprono la metà dei propri costi con ricavi di mercato e non con versamenti pubblici, tasse e contributi. Regola alquanto discutibile: la proprietà di Kfw è pubblica, la sua vigilanza non è deputata alla Bundesbank (la banca centrale tedesca, ndr), ma al ministero delle Finanze, i suoi tassi sono diretta conseguenza di quelli dei Bund e se avesse problemi sarebbe lo Stato a intervenire. Facciamo i conti della serva: 500 miliardi di euro sono pari a circa un quarto dei 2080 miliardi complessivi del debito pubblico tedesco. Se li sommassimo otterremmo un debito pubblico tedesco che dal 78,4% arriverebbe a lambire il 97% del Pil. Comunque lontano, ma un po’ più vicino al nostro 132,6 per cento.

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In Italia, è cosa nota, dovremo rispettare il principio del pareggio di bilancio a partire dal 2015. Il ministro Padoan ci ha provato a chiedere una proroga al 2016, ma è stato seppellito dalle pernacchie. Tedesche, in primis. Strano: perché in Germania invece questo obbligo ha due velocità. Anzi, a dire il vero, tre. Già, perché la Germania è uno Stato federale, formato da sedici lander. Ognuno dei quali con la propria contabilità, il proprio bilancio, la propria capacità di raccolta fiscale e piena facoltà di indebitarsi. Già, perché anche i lander, nel loro piccolo s’indebitano. Oddio, “piccolo”: degli oltre duemila miliardi di debito tedesco, più di 600 sono da imputare a lander ed enti locali.
Per i Comuni tedeschi, il pareggio di bilancio non è obbligo di legge
Prima differenza non da poco: se lo Stato tedesco dovrà obbligatoriamente raggiungere il pareggio di bilancio nel 2016, i lander potranno prendersela comoda, avendo tempo fino al 2020. Non solo, dicevamo: perché nulla si dice, in Germania, di cosa dovranno fare gli enti locali, il cui debito è pari circa al 6% del totale. Per loro, a quanto pare, il pareggio di bilancio non è obbligo di legge e molti di loro sono sovraindebitati: il record è di Oberhausen, nella Ruhr, il cui debito comunale è pari a 6.900 euro per abitante. Situazione, ne converrete, «leggermente» diversa rispetto a quella dei nostri Comuni, letteralmente strozzati dal patto di stabilità interno, strumento che impone a tutte le articolazioni locali dello Stato di partecipare agli obblighi di finanza pubblica che ci chiede l’Europa. Ah, dimenticavo: indovinate chi è uno dei principali creditori degli enti locali tedeschi? Esatto, la Kfw.

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Al netto della Cdp, in Italia tutte le banche sono in mano a investitori privati. In Germania invece il 45% del sistema bancario è in mano al settore pubblico. Il caso più famoso è quello della Commerzbank, una delle principali banche tedesche, nel quale lo Stato partecipa con una quota del 17%, ma vi sono molte altre realtà del credito con una forte presenza del pubblico nella compagine azionaria. Prime fra tutte le Landersbanken, le banche regionali tedesche. Sono sei, sono tutte pubbliche, sono gestite con criteri politici e, soprattutto, non sono esattamente dei nani della finanza: LbBerlin, la più piccola, ha attività per 130 miliardi di euro; la più grande, la Lbbw, 337 miliardi – una volta e mezzo il Monte dei Paschi di Siena, tanto per essere chiari, ed è la quarta banca del Paese. Da qualche anno si parla della crisi delle Landesbanken e dei 637 miliardi di attività deteriorate che hanno in pancia, soprattutto a causa del fatto che nel 2008, quando scoppiò la crisi finanziaria, erano imbottite di mutui subprime.
In Germania, quasi la metà del sistema bancario è in mano al pubblico
L’effetto complessivo, al netto della crisi di queste banche regionali, è quello di un sistema del credito che gioca in stretta sinergia con gli obiettivi di finanza pubblica del governo centrale. Facciamo un esempio: poniamo che la Germania voglia esercitare una forte pressione competitiva su un Paese concorrente e sulle sue imprese. Per farlo, potrebbe decidere di vendere in blocco tutti i titoli di stato di quel paese detenuti dalle banche di cui è azionista. I tassi d’interesse dei titoli di stato di quel Paese, come conseguenza, si alzerebbero immediatamente, e le imprese di quel Paese si troverebbero a dover pagare il denaro molto più caro, ammesso e non concesso che riescano ad accedere al credito. In un contesto continentale in cui anche una pacca sulla spalla rischia di essere sanzionata come aiuto di stato appare strano che nessuno mai si sia accorto di tale, piuttosto evidente, anomalia.

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Il Sole 24 Ore dice che «ormai si può parlare di prassi»: nella seconda metà di maggio, un paio di mesi fa, quindi, la Bundesbank ha ripetuto per ben due volte quello che possiamo senza timore di smentite definire come il quarto trucchetto tedesco: in parole povere, se c’è un’asta di Bund e parte dei titoli non viene comprata sul mercato primario – quello in cui ogni Stato colloca in prima battuta i propri titoli di debito, con accesso riservato a grandi fondi e banche internazionali – la banca centrale tedesca se li compra (o, meglio, li «congela») e li ricolloca successivamente sul mercato secondario. In questo modo, evita che i tassi si alzino e che i Bund perdano valore. So cosa vi state chiedendo: perché noi non lo facciamo? Semplice, perché non si può fare. L'articolo 101 del Trattato di Maastrich vieta l'acquisto sul mercato primario di titoli di Stato da parte delle banche centrali.
La Germania lo fa, noi no. Perché? Perché non si può fare
Testuale: «È vietata la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della Bce o da parte delle banche centrali degli Stati membri (in appresso denominate «banche centrali nazionali»), a istituzioni o organi della Comunità, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l'acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della Bce o delle banche centrali nazionali». Ripetete con me: gli italiani rispettano le regole, i tedeschi no. Fa uno strano effetto, vero?

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Un ultimo esempio: nel 2011 l’Unione europea ha approvato il «six pack», sei direttive, per l’appunto, volte ad armonizzare gli squilibri tra i diversi Stati membri. Quattro di queste sei direttive hanno come oggetto le politiche fiscali e sono le famose cose «che ci chiede l’Europa», come ad esempio la riduzione del deficit. Le altre due direttive, invece, riguardano gli squilibri macroeconomici. Uno dei quali le differenze nei saldi commerciali dei Paesi. Non sto a farla lunga, che non è questa la sede: vi basti sapere che alcuni Paesi importano più di quanto esportano (ad esempio, la Grecia) e altri invece sono esportatori netti che realizzano ogni anno surplus commerciali piuttosto ingenti (ad esempio, la Germania). E che tutto questo, se avviene nel contesto del mercato unico europeo, aumenta gli squilibri marcoeconomici tra i due Paesi e mettere a rischio la tenuta complessiva del sistema.
Loro saranno pure più furbi che bravi, quindi, ma noi ce li meritiamo, i tedeschi. 
La regola, quindi: nessun Paese europeo può avere un «rosso» commerciale di più del 3% e un surplus di più del 6%. Indovinate quale Paese ha violato questa regola, negli ultimi cinque anni. No, non è la Grecia, e nemmeno l’Italia. È lo stesso Paese che finanzia le piccole imprese con denaro pubblico raccolto da una banca pubblica che tuttavia non è debito pubblico. È lo stesso Paese che impone il pareggio di bilancio senza se e senza ma agli altri Paesi europei, ma non ai suoi comuni. È lo stesso Paese che punta il dito sugli aiuti di Stato altrui, ma possiede quasi la metà del proprio sistema bancario. È lo stesso Paese che viola apertamente l’articolo 101 del trattato di Maastricht. Tutti gli altri, invece, sono i Paesi che non dicono nulla e che non hanno nemmeno la forza di chiedere e strappare in sede Ue regole contabili comuni, una vera unione bancaria, anche solo banalmente il rispetto delle regole. Loro saranno pure più furbi che bravi, quindi, ma noi ce li meritiamo, i tedeschi. 

mercoledì 2 luglio 2014

La casta degli alti funzionari

La casta degli alti funzionari:

                                       

"Quando siamo entrati in Parlamento un anno e mezzo fa pensavamo che la “casta” più pericolosa fosse quella dei politici. Che ingenui! In realtà i veri intoccabili sono alcuni altissimi funzionari che, nonostante i cambi di governo, restano ancorati ai loro posti di comando. Sono le eminenze grigie, i guardiani dei poteri forti, gli influenti dirigenti pubblici che cascano sempre in piedi.
Tra questi un posto d’onore lo occupa l’Ing. Ercole Incalza, classe ’44 e attuale Capo della Struttura Tecnica di Missione, l’organismo che supporta il CIPE, il Comitato Interministeriale per la programmazione economica. Il CIPE è l’organismo statale che dà il via libera a tutte le grandi opere. C’è chi sostiene che sia lui il vero Ministro delle infrastrutture non certo Lupi che nel suo CV può vantare soltanto una semplice indagine per abuso d’ufficio.
Incalza è un vero recordman di proscioglimenti e il suo avvocato, Titta Madia, lo definisce un campione di slalom processuale. In effetti il suo nome compare in svariate procedimenti penali dai quali (anche grazie a porcate quali la ex-Cirielli che ha ridotto i tempi di prescrizione), ad oggi, è uscito sempre pulito.
Nel 1991, quando nacque l’alta velocità Incalza divenne a.d. della società TAV controllata dalle Ferrovie dello Stato. Lui e Lorenzo Necci (ex a.d. di FS, inquisito 42 volte e condannato per corruzione soltanto una e morto investito in Puglia in circostanze poco chiare*) riuscirono a garantire, senza gara, svariati miliardi di appalti per la costruzione dell’alta-velocità ad IRI, ENI e Fiat. Il fatto che l’alta velocità sia costata ai cittadini 93 miliardi di euro contro i 15,5 previsti fa poca differenza. Ma tutto questo Lupi non lo sa!
Nel 1996 Incalza venne coinvolto nel processo di Genova sul Terzo Valico, la linea ferroviaria Tortona-Novi Ligure-Genova. L’accusa era truffa aggravata sull’Alta Velocità. Tra gli imputati c’erano anche un tal Luigi Grillo (l’ex-senatore di FI che B. dice di non conoscere arrestato recentemente per lo scandalo EXPO) e un tal Bruno Binasco (già condannato assieme a Primo Greganti, il Compagno G del PD, per finanziamento illecito ai partiti). La ex-Cirielli, il toccasana dei corrotti, lo salvò. Ma tutto questo Lupi non lo sa!
Nel 1998 il nostro eroe viene arrestato nell’ambito di un processo per corruzione in atti giudiziari. Secondo i giudici l’Ingegnere avrebbe corrotto i PM Castellucci e Squillante (quel Renato Squillante prescritto nel processo SME che vedeva imputato anche Berlusconi) ma la prescrizione, ancora una volta, fu sua alleata. Ma tutto questo Lupi non lo sa!
Ad oggi Incalza risulta indagato per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e abuso di ufficio in merito agli appalti per la costruzione del TAV di Firenze. In questa inchiesta i magistrati stanno cercando di fare chiarezza anche sullo smaltimento dei rifiuti dell’opera perché, a quanto sembra, vi è coinvolta una ditta legata al clan dei Casalesi. Sempre nell'ambito di tale inchiesta è stata arrestata Maria Rita Lorenzetti, ex-Presidente della Regione Umbria (PD) e Presidente dell’Italferr. Sembra che lei abbia favorito negli appalti la Coopesette, una delle numerose cooperative rosse che monopolizzano tutti i lavori pubblici in diverse regioni d’Italia. Ma tutto questo Lupi non lo sa!
Pensate poi che Incalza si è prodigato perché venisse nominato Magistrato delle acque quel Paolo Emilio Signorini al quale Mazzacurati, l’ex-Presidente del Consorzio Venezia Nuova aveva pagato una bella vacanza in Toscana. La nomina poi non si è concretizzata per la delusione di Mazzacurati, poi arrestato nell’ambito dell’inchiesta Mose. Ma tutto questo Lupi non lo sa!
Ma non è finita qui! Incalza ha un genero, tal Alberto Donati, il quale ha recentemente dichiarato alla Guardia di Finanza: “cercavamo casa e mio suocero (Incalza ndr) mi disse di rivolgermi all’Arch. Zampolini che avrebbe provveduto”. Zampolini, meglio noto come “lo spallone di assegni circolari di Anemone", esattamente come fece per la casa dell’ex-Ministro Scajola (arrestato recentemente per aver favorito la fuga dell’ex-deputato di FI Matacena, condannato per mafia) ha “aiutato” il genero di Incalza nell’acquisto di una dimora da sogno a pochi metri da Piazza del Popolo. L’appartamento è costato 1,2 milioni di euro ma 820.000 ce li ha messi Zampolini, carico come sempre di assegni circolari. Ma tutto questo Lupi non lo sa!
E' accettabile che un soggetto con il suo “curriculum vitae” possa ancora occupare una posizione di comando e responsabilità in tempi di scandali sulle grandi opere in un Ministero così delicato come quello delle Infrastrutture e Trasporti?
E' tollerabile che un Ministro dei Trasporti non sappia che un suo altissimo funzionario sia indagato per associazione a delinquere in merito a delle opere legate al trasporto nazionale?
E' credibile un Presidente del Consiglio che parla di misure urgenti anti-corruzione ma che non faccia rimuovere personaggi indecorosi da posizioni influenti?
Il M5S, soprattutto su questi temi, ha il dovere di incalzare con durezza assoluta il governo a cominciare dal Ministro Lupi!"
Alessandro Di Battista e Michele Dell'Orco, portavoce M5S alla Camera
* Secondo una testimonianza dell’ex-ministro DC Cirino Pomicino Necci aveva ricevuto da alcuni servizi segreti dei documenti riservatissimi su una vicenda italiana e tali documenti sono “spariti” dalla sua borsa sul luogo dell’incidente.

La stampa di Reggio Emilia

La stampa di Reggio Emilia sta attaccando vergognosamente Maria Edera Spadoni.


Quando tocchiamo argomenti scomodi come la TRASPARENZA delle COOPERATIVE (nel nostro caso, quelle "rosse"), la disinformazione si scatena e certa stampa dà il meglio di sé.
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"Leggo sulla gazzetta di Reggio online che vorrei togliere le agevolazioni fiscali alle cooperative. Mi chiedo dove abbiano letto una cosa del genere visto che la mozione non è stata ancora resa pubblica. Consiglio lettura più approfondita del mio comunicato stampa. Noto con dispiacere che quando si toccano certi temi i fraintendimenti o le interpretazioni errate abbondano....
COOPERATIVE, TANTO PER CHIARIRE: NESSUNA RICHIESTA DI RIDUZIONE DELLE AGEVOLAZIONI E DEI BENEFICI.
VOGLIAMO PERO' INDICATORI DELLA DISTRIBUZIONE INDIRETTA DI UTILI.
Rispondo in questo comunicato all’immediata risposta - per certi versi offensiva nei confronti miei e di tutto il M5S- dell’Alleanza Cooperative Italiane di Reggio Emilia alla notizia dell’ arrivo in Parlamento di una mozione riguardante le Cooperative.
E allora, tanto per chiarire: il Movimento non è contro l'istituto della cooperazione previsto dalla nostra Costituzione e che costituisce un fondamento della libertà economica del nostro paese, in cui lo stesso M5S si riconosce. Infatti non si chiede nessuna riduzione delle agevolazioni e dei benefici previsti dalle vigenti leggi sulla cooperazione.
Restrizioni e inasprimenti ve ne sono stati in passato, ma sono state attuati da governi e forze politiche diverse dal M5S che all' epoca non era nemmeno in Parlamento! Ai giornali dico di non strumentalizzare i miei comunicati stampa: trovo assolutamente fuori luogo il confronto con Berlusconi!
L'unica e determinante richiesta avanzata dal Movimento è quella di prevedere degli indicatori della distribuzione indiretta di utile analogamente a quanto avviene per altre realtà -onlus, enti non commerciali, cooperative sociali, imprese sociali- che sono soggette al divieto di scopo di lucro.
Una simile iniziativa, se accettata, condurrà ad un rafforzamento del mondo della cooperazione a mutualità prevalente in quanto sarà più chiara e netta la linea di demarcazione tra imprese cooperative e imprese ordinarie e dunque il diritto delle prime a godere di una fiscalità agevolata rispetto alle seconde. Chiediamo dei criteri di trasparenza dunque per tracciare in modo preciso e chiaro questa linea di demarcazione. Chiediamo dei criteri di trasparenza inoltre, per verificare se ci sia una distribuzione indebita di utili. Perché allora tutta questa agitazione ad una mozione che prevede di estendere alle Cooperative parametri contabili e fiscali antielusivi?
L'identificazione di parametri è fondamentale in quanto aiuterà il sistema del controllo e della revisione vigente in materia di cooperazione ad effettuare le verifiche colmando un vuoto normativo.
Nessun inasprimento dunque: esigiamo però che sia rispettata la Costituzione e le leggi sulla cooperazione che prevedono il divieto di speculazione privata per le cooperative."

martedì 1 luglio 2014

La bellezza del cambiare opinione

Dal Facebook di Alessandro Di Battista


"La bellezza del cambiare opinione"

Il Giornale dopo avermi attaccato descrivendomi come un pazzo che vuole vietare le bistecche per legge oggi pubblica una mia foto con in mano una testa di un bovino. Quella foto me la scattarono in Bolivia 4 o 5 anni fa. All’epoca stavo viaggiando per “studiare” gli stili di vita e il comportamento delle popolazioni indigene.
Nelle comunità native uccidere una vacca o un maiale è una festa e, quello che per loro è un rito sacro, li spinge a consumare del tutto l’animale macellato.
Per questo nei mercati si vendono teste di bovini e io ho avuto la colpa imperdonabile di scattarmi una foto così proprio perché colpito dal fatto, inusuale nella nostra cultura, che si consumasse anche la testa dell'animale ucciso.

Il Giornale si guarda bene da scrivere un pezzo sul deputato di Forza Italia Luigi Cesaro, l’autista di Raffaele Cutolo (il fondatore della Nuova Camorra Organizzata) o sui patti sanciti dal suo padrone Berlusconi e “Cosa Nostra”. 

Però scava nel mio passato fino a scovare questa foto gravissima. Intendiamoci, oggi quella foto non la scatterei proprio perché come tanti ho fatto un percorso che mi ha portato a informarmi e riflettere sulle conseguenze del nostro modo di allevare, trasportare e consumare carne.

Mai avrei immaginato le conseguenze dell’abuso di carne (non del consumo ma dell’abuso) in termini economici, di impoverimento del pianeta e di inquinamento. Studiando, leggendo e viaggiando grazie a Dio si cambia e si comprende meglio il mondo a cominciare dall’importanza (e dall'impatto su noi stessi e sul pianeta) della nostra alimentazione.

L’agricoltura di sussistenza e l’allevamento di sussistenza non hanno mai fatto danni. I contadini (che sono spesso anche piccoli allevatori) al contrario degli allevamenti intensivi, non contribuiscono al surriscaldamento del pianeta.

Oggi provo una pena per un bovino macellato che prima, ai tempi della foto, non provavo (forse perché non me ne rendevo conto). 

Tuttavia ancor di più della loro morte mi fa male il modo in cui "vivono" negli allevamenti intensivi. Oltretutto, lo ripeto, gli allevamenti intensivi sono in gran parte responsabili dell’effetto serra e delle conseguenze che ne derivano (desertificazione della terra, abbandono delle campagne, crescita di fenomeni criminali nelle periferie urbane, aumento dei flussi migratori).

Sono molto contento che nonostante le polemiche si inizi, anche grazie a Il Giornale (continuate così) a trattare certe tematiche che sono fondamentali per il nostro futuro e per la vita del pianeta.


A riveder le stelle!