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domenica 13 ottobre 2013

PRODUTTORI DI DEBITO PUBBLICO @BarbaraLezzi

Letta sta rassicurando che rimetterà in piedi l'Italia, sbandiera ai quattro venti la riduzione della spesa, il rilancio dell'economia e la riduzione del debito pubblico. BALLE, il Documento di Economia e Finanza, voluto e approvato da questa maggioranza, disegna un Italia senza futuro. Le cifre contenute nel documento parlano chiaro, nel 2014 pagheremo interessi sul debito per un importo pari a 86 miliardi di euro, 5 miliardi in più rispetto al 2012, e secondo le loro stime, costruite sulla crescita del PIL pari al 1%, il debito scenderà di un misero 0,1% in rapporto al pil passando dal 132.9% al 132,8%.

Per chi ne ha voglia, tempo e pazienza, e vuole approfondire, di seguito troverà il mio intervento al senato di qualche giorno fa sulla discussione alla Nota al DEF. 

Il DEF (Documento di Economia e Finanza) è lo strumento base su cui poggia la programmazione di politica economica e di bilancio del paese. 
DEF, Rendiconto Generale dello Stato, legge di assestamento al bilancio, Nota di Aggiornamento del DEF, legge di stabilità, sono documenti legati tra di loro. Questi documenti sono dei sorvegliati speciali da parte del Consiglio dell’Unione europea e della Commissione europea. Il Consiglio dell’Unione Europea adotta atti che incidono direttamente sulla vita dei cittadini ed hanno notevoli effetti a livello internazionale.
Per l’Italia ha predisposto sei raccomandazioni:
• la riduzione del debito;
• l’efficienza e qualità della pubblica amministrazione;
• il sistema finanziario;
• il sistema fiscale;
• il mercato del lavoro;
• la concorrenza.
Il governo italiano, al fine di tener conto delle raccomandazioni formulate, con riferimento ai risultati ottenuti e alle variabili macro-economiche di finanza pubblica apporta le “necessarie modifiche ed integrazioni” al DEF al fine di rispettare il Programma di stabilità e il Programma Nazionale di Riforma contenuti nel DEF.
Partiamo da alcuni dati e vediamo come si muove il nostro Governo.
Prima di affrontare le previsioni e il bilancio 2013 e quello che sei prevede di fare è interessante capire cosa è successo nel recente passato visto che disponiamo di dati attendibili approvati dal parlamento.
Per avere la misura e il senso delle cose di cui stiamo discutendo, iniziamo con il bilancio della stato e delle sua composizione al 31.12.12 facendo riferimento ai saldi complessivi e ai saldi finali per competenza.
Il bilancio dello stato per competenza (quello che lo stato accerta) indica in 785,6 miliardi di euro l’ammontare delle entrate complessive e in 749,3 miliardi di euro l’ammontare delle spese complessive (impegni), di questi importi complessivi, però, solo una parte riguarda la gestione caratteristica dello stato, essa è rappresentata dalle entrate e dalle spese finali, per semplificare le entrate finali non sono altro, per la gran parte, che entrate tributarie ed extratributarie e per una parte minore altri proventi, l’importo complessivo ammonta a 545.8 miliardi di euro. Con questi soldi lo stato mantiene la sua macchina pagando i redditi per lavoro dipendente, per consumi intermedi, per trasferimenti alle pubbliche amministrazioni, nonché per il pagamento degli interessi passivi sul debito pubblico, il totale delle spese finali accertate ammonta a 535 miliardi di euro, di cui più di 81 miliardi sono impegnati per pagare gli interessi sul debito pubblico italiano. Quindi, se rapportiamo l’ammontare degli interessi sul debito alle spese finali ci accorgiamo che il 15% di quello che si spende (massacrando gli italiani di tasse) è impegnato non ha migliorare le condizioni di vita degli italiani, facendo ricerca, investimenti, assistenza, migliorando la qualità della scuola, della giustizia, della pubblica amministrazione, del sistema fiscale, della concorrenza, del sistema finanziario o per la riduzione del debito pubblico, come ci raccomanda il Consiglio dell’Unione Europea, ma destinato a pagare interessi sul debito.
Ma la storia non finisce qui, l’Italia, se si tiene conto sempre delle entrate e spese finali per competenza, produce un avanzo di bilancio pari a 10,8 miliardi di euro. Questo significa che gli italiani, con i loro sacrifici e con lo strozzinaggio cui sono soggetti, riescono a coprire tutte le spese per far funzionare la gigantesca, obsoleta e burocratica macchina dello stato, che fa acqua da tutte le parti, e riescono pure a determinare nel bilancio dello stato un avanzo di 10,8 miliardi di euro, avanzo che cresce a 92,2 miliardi di euro (avanzo primario) se l’Italia non pagasse gli 81 miliardi di interessi passivi sul debito pubblico.
Anche se si considera il Conto della Pubblica Amministrazione a legislazione vigente (somma dei conti delle amministrazioni centrali , amministrazioni locali ed enti di previdenza e assistenza) l’avanzo primario è sempre positivo sia nel 2012 con 39 miliardi di euro, che nel 2013, le cui previsioni stimano un avanzo primario pari a 35,2 miliardi di euro. Con i numeri appena citati, in un paese normale, i conti non solo dovrebbero essere in ordine, malgrado l’enormità della spesa clientelare e improduttiva, ma agli italiani andrebbe abbassata la pressione fiscale, restituito anche parte del maltolto e introdotto un reddito di cittadinanza degno di questo nome. Ogni hanno ci mangiamo 92 miliardi di avanzo primario dello Stato.
Per capire cosa non va nel nostro bilancio ora passiamo al resto che lo compone in particolare alle altre entrate e alle altre spese presenti in Bilancio per arrivare poi al totale delle entrate e delle spese complessive. Le altre entrate, sempre per semplificare, sono rappresentate, per la gran parte, dall’accensione di prestiti per un importo pari a 239,8 miliardi di euro e le altre spese, sono rappresentate in larga misura, dal rimborso delle passività finanziarie per l’importo di 214,3 miliardi di euro. Quindi, una buona parte del bilancio dello stato e precisamente 295 miliardi, esattamente il 39,5% del bilancio dello stato riguarda non la vita dei cittadini ma la gestione del debito pubblico che divora tutto producendo debito su debito.
Fissate bene queste cifre cerchiamo di capire se la politica dell’austerità e le raccomandazioni che ci vengono dal Consiglio dell’Unione Europea per la redazione della Nota al DEF, ci fanno uscire da questo circolo vizioso che sta strangolando il paese e se sono veramente utili per migliorare la vita dei cittadini.
Prima però occorre fare una premessa perché, per l’Italia, oltre al rispetto del rapporto deficit/pil che deve mantenersi al di sotto del 3%, il peggio deve ancora arrivare in quanto, ad una situazione finanziaria che impiega circa il 40% delle sue risorse per la gestione del debito pubblico, dal 2015 avrà a che fare con un giochino infernale: la regola del debito o Six Pack. Il Six Pack stabilisce che gli Stati membri, il cui debito superi il 60 per cento del PIL, debbano ridurre tale rapporto ad un ritmo adeguato a convergere verso il valore di riferimento. Ricordo che il nostro debito, secondo quanto riportato nella Nota al Def per il 2013 si attesterà al 132,9 per cento del PIL Affinché la riduzione sia “adeguata” è necessario che la distanza del rapporto debito/PIL dalla soglia del 60 per cento, si riduca al passo di un ventesimo all’anno calcolato alla media dei tre anni antecedenti la valutazione. Il mancato rispetto del criterio del debito è valutato in base a tre condizioni. Se le condizioni non vengono soddisfatte, si apre la procedura per disavanzi eccessivi. Tradotto in parole povere vuol dire che oltre ai 295 miliardi che impieghiamo già per la gestione del debito ne dobbiamo trovare altri per ridurre il debito stesso. Sempre che all’improvviso, per grazia ricevuta, l’Italia abbia un tasso di crescita che negli ultimi vent’anni non ha mai visto, neanche con il binocolo. Ma si sa in Italia neanche la speranza è umana ci hanno tolto anche quella.
Rispetto a quest’ultimo passaggio la Corte dei Conti ha sottolineato come l’Italia, per garantirsi il pareggio di bilancio e il rispetto dei vincoli sul debito, deve avere un tasso di crescita nominale del PIL di un punto superiore a quello richiesto agli altri paesi europei per i prossimi vent’anni. La Corte ha anche affermato che l’avanzo primario dell’Italia, sempre per rispettare i vincoli del debito, deve essere superiore a quello degli altri paesi europei, anche nell’ipotesi che lo spread fra i vari Paesi europei e la Germania fosse azzerato. Sempre la Corte dei Conti ha definito tale percorso: ipotesi non realistica.
Ora torniamo alla Nota al DEF dalla quale si evince che il nostro governo pur di rispettare i vincoli europei, si sta vendendo l’anima al diavolo, ed è indotto a rappresentarci una situazione dei conti pubblici rosea continuando a perseverare sulla strada delle previsioni ottimistiche annunciate e puntualmente sbagliate come già successo per il 2012, come già successo tra il DEF approvato qualche mese fa e la Nota al DEF in corso di approvazione.
Ma torniamo agli elementi su cui è incardinata la Nota al DEF al fine di rientrare nei parametri appena esposti.
Si parte dalla congiuntura internazionale prefigurando una lenta lentissima ripresina, si sa per cavalcare la ripresa bisogna essere pronti, avere un sistema fiscale equo, uno stato efficiente, una classe politica onesta e coesa, un sistema scolastico modello, una sanità che funziona, un sistema sociale e industriale forte, una giustizia che è messa nelle condizioni di funzionare, cittadini motivati, e potrei continuare … , nella Nota al DEF tutto questo non sono lo si da per già fatto, scontato, ma, addirittura, fregandosene del fatto che secondo i dati Eurostat, mentre il PIL dell’Area Euro, nel secondo trimestre 2013 è cresciuto mediamente dello 0,3 per cento rispetto al trimestre precedente, in cui si era registrata una variazione negativa del tasso di crescita del – 0.2 per cento, l’Italia e Spagna sempre nello stesso periodo continuavano a rimanere in recessione. Sono state Germania e Francia a trainare la crescita con tassi più elevati rispetto alla media, rispettivamente, dello 0,7 e dello 0,5 per cento. Su base annua il DEF stima una contrazione del PIL italiano pari al -1,7 per cento smentendo la precedente previsione contenuta nel DEF che davano un contrazione al -1,3 per cento. In realtà, secondo le stime Istat, Prometeia e altri organismi internazionali, la contrazione del Pil sarà del -1,8 - -1,9 per cento. Per l’Italia, anche per la fine dell’’anno, non si nota nessuna inversione di tendenza. Nella Nota al DEF, mentre nell’Area euro si prefigura per il 2014 una crescita media del PIL pari all’1 per cento, come per magia, si prefigura anche per l’Italia una crescita in linea con la media europea per il 2014 pari all’1 per cento, malgrado ancora oggi tutti i comparti economici (agricoltura, industria, servizi e costruzioni) registrano una diminuzione congiunturale del valore aggiunto. Ma non è finita qui, per dimostrare alle istituzioni europee che siamo bravissimi si prefigura per il 2015 una crescita del PIL del 1,7 per cento, fino all’incremento del 1,9 per cento del 2017. Insomma, tutto a posto. Meglio di noi possono fare pochi. Al nostro Governo poco importa che ormai le famiglie e le imprese non solo non ottengono credito, ma sono anche scoraggiate a chiederlo, poco importa che secondo i dati diffusi da Unimprese 5 aziende su 8 (il 40 per cento) che riescono ad ottenere un prestito dalle banche lo utilizzano per pagare le tasse e che per le piccole e medie imprese tale percentuale sale al 62 per cento. Non solo è difficile ottenere un prestito dal sistema bancario, ma quel poco che si ottiene e finalizzato a pagare imposte e tasse anziché fare investimenti. Di fatto le imprese italiane si trovano schiacciate tra un fisco pigliatutto e un sistema creditizio che taglia le gambe. Si chiudono le porte al futuro. In queste condizioni come si fa a prevedere stime di crescita del PIL Italiano pari a quello dell’Area Euro? L’ulteriore mazzata le aziende Italiane la riceveranno a ottobre, a novembre e a dicembre, quando dovranno pagare l’IVA che è passata dal 21 al 22%. 
La nota al DEF, sulla base di previsioni di crescita del PIL italiano che mai ci saranno e che fanno a cazzotti con tutte le previsioni degli altri Istituti (CER, PROMETEIA, CONFINDUSTRIA, CONSENSUS FORECASTS ecc.), costruisce tutti i saldi di bilancio, tra cui l’indebitamento netto, l’avanzo primario e soprattutto il saldo di bilancio strutturale da cui si desume un quadro di finanza pubblica, per il periodo 2014 – 2017, in linea con quelle che sono le richieste europee. L’avanzo primario, addirittura, secondo le previsioni, passa dal 2.4 per cento al 5,1 per cento rispetto al PIL. Insomma gli italiani possono dormire sogni tranquilli. 
Bisogna che ci sia un cambio di passo, ricordarsi che l’avanzo primario pubblico italiano (cioè al netto della spesa per interessi) ci ha permesso di tenere sotto il 3% il rapporto deficit/Pil e che in Europa, con riferimento al deficit, siamo tra i paesi virtuosi, secondi solo alla Germania. Occorre una svolta e non considerare i vincoli europei dei tabù. In mancanza di reperire risorse immediate un’ipotesi su cui si potrebbe lavorare potrebbe essere l’azzeramento dell’avanzo primario, pari a 2,5 punti del Pil che vale circa 35 miliardi di euro, da utilizzare per ridurre la pressione fiscale sulla produzione e promuovere politiche industriali a favore delle famiglie e della piccola e media impresa. Si libererebbe l’economia dalla cappa che più di ogni altro fattore ostacola la voglia di investire e di produrre in Italia. Secondo alcuni studi, attenendosi a stime prudenziali, l’azzeramento dell’avanzo primario, per effetto del meccanismo del moltiplicatore genererebbe una crescita di oltre 45 miliardi pari a 3 punti di Pil. Entro l’arco temporale di circa un anno, 9 – 15 mesi secondo le stime più attendibili, raggiunto l’effetto espansivo, anche gli effetti immediati di incremento di deficit e debito risulterebbero compensati per effetto dell’aumento del Pil che abbatte i rapporti di finanza pubblica (deficit/Pil – debito/Pil) e dell’aumento delle entrate tributarie che, trainate dalla ripresa, aumenterebbero di almeno un punto di Pil. E’ ovvio che tale discontinuità con il passato andrebbe concordata a livello europeo. Se l’Europa a trazione tedesca dovesse ignorare tale ipotesi si dovrebbe valutare la possibilità di un’azione unilaterale pur di scongiurare il baratro dentro cui ci stiamo immergendo. La sostenibilità di tale ipotesi è rafforzata se si considerano alcuni studi che considerano sia la composizione del debito pubblico che il debito pubblico implicito (impegni già presi dallo Stato per i decenni a venire e legati in particolare all’invecchiamento della popolazione). Tali studi mettono in evidenza come l’Italia, in Europa, ha uno dei debiti pubblici più sostenibili. E’ necessario agire su più fronti, la spending review quale strumento per rendere efficiente e sostenibile l’apparato dello stato in un’ottica di reale volontà politica verso lo snellimento dell’amministrazione pubblica, la soppressione degli enti o la loro razionalizzazione va affrontata con un approccio molto differente dall’attuale e deve mirare veramente a tagliare tutto quello che è inutile. Abbiamo presentato una mozione sui tagli di spesa, quando siete pronti possiamo discuterne nell’interesse del Paese. Noi del movimento 5 Stelle ci siamo.
Le risorse recuperate con i tagli devono essere utilizzate per abbattere il debito pubblico e le aliquote fiscali e contributive. La riduzione del debito comporta minori oneri per interessi e progressivamente maggiore affidabilità attribuita al rischio–Italia (e quindi ulteriore riduzione della spesa per interessi a seguito della riduzione dello spread). L’abbattimento delle aliquote incrementa nell’immediato investimenti produttivi e consumi (effetti espansivi). Una cosa è certa: i tagli di spesa non andranno lasciati nelle mani della pubblica amministrazione, altrimenti in pochi anni torneremmo a registrare un nuovo incremento delle spese inutili. Il dividendo della revisione della spesa va restituito ai cittadini, riducendo la pressione fiscale e il debito pubblico. La riduzione del debito è in realtà una riduzione delle tasse spostata nel futuro. Cose da fare ce ne sono molte per il bene comune.
Invece ci ritroviamo cono la solita politica, con i soliti trucchetti contabili. Tra Nota al DEF e la legge di stabilità, che prevedono risorse impegnate pari agli zero virgola, perché questo ci impone realmente l’Europa, destinate al taglio dei contributi sociali non previdenziali e al taglio delle tasse sul lavoro, con l’introduzione del service tax, con il nuovo patto di stabilità interno che per magia stimolerà gli investimenti. L’attuale Governo sistemerà tutto quello che in venti anni di malgoverno ha indotto l’Italia alla recessione. Si continua a fare quello che si è sempre fatto, previsioni ottimistiche e consuntivi tristissimi dove a farla da padrone sono le percentuali sempre più alte delle risorse del bilancio destinate alla gestione del debito pubblico. Il ciclo vizioso si ripete e non se ne esce. Intanto non si sa ancora che pesci prendere per rimanere all’interno del 3 per cento nel rapporto deficit PIL per l’anno 2013, al fine di evitare la procedura per deficit eccessivo. Se non si prende atto che occorre una svolta il prossimo bilancio consuntivo per l’anno 2013 sarà un déjà vu. Intanto la regola del debito ci aspetta.
Barbara Lezzi