Letta sta rassicurando che rimetterà in piedi l'Italia, sbandiera ai
quattro venti la riduzione della spesa, il rilancio dell'economia e la
riduzione del debito pubblico. BALLE, il Documento di Economia e
Finanza, voluto e approvato da questa maggioranza, disegna un Italia
senza futuro. Le cifre contenute nel documento parlano chiaro, nel 2014
pagheremo interessi sul debito per un importo pari a 86 miliardi di
euro, 5 miliardi in più rispetto al 2012, e secondo le loro stime,
costruite sulla crescita del PIL pari al 1%, il debito scenderà di un
misero 0,1% in rapporto al pil passando dal 132.9% al 132,8%.
Per chi ne ha voglia, tempo e pazienza, e vuole approfondire, di seguito
troverà il mio intervento al senato di qualche giorno fa sulla
discussione alla Nota al DEF.
Il DEF (Documento di Economia e
Finanza) è lo strumento base su cui poggia la programmazione di politica
economica e di bilancio del paese.
DEF, Rendiconto Generale dello
Stato, legge di assestamento al bilancio, Nota di Aggiornamento del DEF,
legge di stabilità, sono documenti legati tra di loro. Questi documenti
sono dei sorvegliati speciali da parte del Consiglio dell’Unione
europea e della Commissione europea. Il Consiglio dell’Unione Europea
adotta atti che incidono direttamente sulla vita dei cittadini ed hanno
notevoli effetti a livello internazionale.
Per l’Italia ha predisposto sei raccomandazioni:
• la riduzione del debito;
• l’efficienza e qualità della pubblica amministrazione;
• il sistema finanziario;
• il sistema fiscale;
• il mercato del lavoro;
• la concorrenza.
Il governo italiano, al fine di tener conto delle raccomandazioni
formulate, con riferimento ai risultati ottenuti e alle variabili
macro-economiche di finanza pubblica apporta le “necessarie modifiche ed
integrazioni” al DEF al fine di rispettare il Programma di stabilità e
il Programma Nazionale di Riforma contenuti nel DEF.
Partiamo da alcuni dati e vediamo come si muove il nostro Governo.
Prima di affrontare le previsioni e il bilancio 2013 e quello che sei
prevede di fare è interessante capire cosa è successo nel recente
passato visto che disponiamo di dati attendibili approvati dal
parlamento.
Per avere la misura e il senso delle cose di cui stiamo
discutendo, iniziamo con il bilancio della stato e delle sua
composizione al 31.12.12 facendo riferimento ai saldi complessivi e ai
saldi finali per competenza.
Il bilancio dello stato per competenza
(quello che lo stato accerta) indica in 785,6 miliardi di euro
l’ammontare delle entrate complessive e in 749,3 miliardi di euro
l’ammontare delle spese complessive (impegni), di questi importi
complessivi, però, solo una parte riguarda la gestione caratteristica
dello stato, essa è rappresentata dalle entrate e dalle spese finali,
per semplificare le entrate finali non sono altro, per la gran parte,
che entrate tributarie ed extratributarie e per una parte minore altri
proventi, l’importo complessivo ammonta a 545.8 miliardi di euro. Con
questi soldi lo stato mantiene la sua macchina pagando i redditi per
lavoro dipendente, per consumi intermedi, per trasferimenti alle
pubbliche amministrazioni, nonché per il pagamento degli interessi
passivi sul debito pubblico, il totale delle spese finali accertate
ammonta a 535 miliardi di euro, di cui più di 81 miliardi sono impegnati
per pagare gli interessi sul debito pubblico italiano. Quindi, se
rapportiamo l’ammontare degli interessi sul debito alle spese finali ci
accorgiamo che il 15% di quello che si spende (massacrando gli italiani
di tasse) è impegnato non ha migliorare le condizioni di vita degli
italiani, facendo ricerca, investimenti, assistenza, migliorando la
qualità della scuola, della giustizia, della pubblica amministrazione,
del sistema fiscale, della concorrenza, del sistema finanziario o per la
riduzione del debito pubblico, come ci raccomanda il Consiglio
dell’Unione Europea, ma destinato a pagare interessi sul debito.
Ma
la storia non finisce qui, l’Italia, se si tiene conto sempre delle
entrate e spese finali per competenza, produce un avanzo di bilancio
pari a 10,8 miliardi di euro. Questo significa che gli italiani, con i
loro sacrifici e con lo strozzinaggio cui sono soggetti, riescono a
coprire tutte le spese per far funzionare la gigantesca, obsoleta e
burocratica macchina dello stato, che fa acqua da tutte le parti, e
riescono pure a determinare nel bilancio dello stato un avanzo di 10,8
miliardi di euro, avanzo che cresce a 92,2 miliardi di euro (avanzo
primario) se l’Italia non pagasse gli 81 miliardi di interessi passivi
sul debito pubblico.
Anche se si considera il Conto della Pubblica
Amministrazione a legislazione vigente (somma dei conti delle
amministrazioni centrali , amministrazioni locali ed enti di previdenza e
assistenza) l’avanzo primario è sempre positivo sia nel 2012 con 39
miliardi di euro, che nel 2013, le cui previsioni stimano un avanzo
primario pari a 35,2 miliardi di euro. Con i numeri appena citati, in un
paese normale, i conti non solo dovrebbero essere in ordine, malgrado
l’enormità della spesa clientelare e improduttiva, ma agli italiani
andrebbe abbassata la pressione fiscale, restituito anche parte del
maltolto e introdotto un reddito di cittadinanza degno di questo nome.
Ogni hanno ci mangiamo 92 miliardi di avanzo primario dello Stato.
Per capire cosa non va nel nostro bilancio ora passiamo al resto che lo
compone in particolare alle altre entrate e alle altre spese presenti in
Bilancio per arrivare poi al totale delle entrate e delle spese
complessive. Le altre entrate, sempre per semplificare, sono
rappresentate, per la gran parte, dall’accensione di prestiti per un
importo pari a 239,8 miliardi di euro e le altre spese, sono
rappresentate in larga misura, dal rimborso delle passività finanziarie
per l’importo di 214,3 miliardi di euro. Quindi, una buona parte del
bilancio dello stato e precisamente 295 miliardi, esattamente il 39,5%
del bilancio dello stato riguarda non la vita dei cittadini ma la
gestione del debito pubblico che divora tutto producendo debito su
debito.
Fissate bene queste cifre cerchiamo di capire se la
politica dell’austerità e le raccomandazioni che ci vengono dal
Consiglio dell’Unione Europea per la redazione della Nota al DEF, ci
fanno uscire da questo circolo vizioso che sta strangolando il paese e
se sono veramente utili per migliorare la vita dei cittadini.
Prima
però occorre fare una premessa perché, per l’Italia, oltre al rispetto
del rapporto deficit/pil che deve mantenersi al di sotto del 3%, il
peggio deve ancora arrivare in quanto, ad una situazione finanziaria che
impiega circa il 40% delle sue risorse per la gestione del debito
pubblico, dal 2015 avrà a che fare con un giochino infernale: la regola
del debito o Six Pack. Il Six Pack stabilisce che gli Stati membri, il
cui debito superi il 60 per cento del PIL, debbano ridurre tale rapporto
ad un ritmo adeguato a convergere verso il valore di riferimento.
Ricordo che il nostro debito, secondo quanto riportato nella Nota al Def
per il 2013 si attesterà al 132,9 per cento del PIL Affinché la
riduzione sia “adeguata” è necessario che la distanza del rapporto
debito/PIL dalla soglia del 60 per cento, si riduca al passo di un
ventesimo all’anno calcolato alla media dei tre anni antecedenti la
valutazione. Il mancato rispetto del criterio del debito è valutato in
base a tre condizioni. Se le condizioni non vengono soddisfatte, si apre
la procedura per disavanzi eccessivi. Tradotto in parole povere vuol
dire che oltre ai 295 miliardi che impieghiamo già per la gestione del
debito ne dobbiamo trovare altri per ridurre il debito stesso. Sempre
che all’improvviso, per grazia ricevuta, l’Italia abbia un tasso di
crescita che negli ultimi vent’anni non ha mai visto, neanche con il
binocolo. Ma si sa in Italia neanche la speranza è umana ci hanno tolto
anche quella.
Rispetto a quest’ultimo passaggio la Corte dei Conti
ha sottolineato come l’Italia, per garantirsi il pareggio di bilancio e
il rispetto dei vincoli sul debito, deve avere un tasso di crescita
nominale del PIL di un punto superiore a quello richiesto agli altri
paesi europei per i prossimi vent’anni. La Corte ha anche affermato che
l’avanzo primario dell’Italia, sempre per rispettare i vincoli del
debito, deve essere superiore a quello degli altri paesi europei, anche
nell’ipotesi che lo spread fra i vari Paesi europei e la Germania fosse
azzerato. Sempre la Corte dei Conti ha definito tale percorso: ipotesi
non realistica.
Ora torniamo alla Nota al DEF dalla quale si evince
che il nostro governo pur di rispettare i vincoli europei, si sta
vendendo l’anima al diavolo, ed è indotto a rappresentarci una
situazione dei conti pubblici rosea continuando a perseverare sulla
strada delle previsioni ottimistiche annunciate e puntualmente sbagliate
come già successo per il 2012, come già successo tra il DEF approvato
qualche mese fa e la Nota al DEF in corso di approvazione.
Ma torniamo agli elementi su cui è incardinata la Nota al DEF al fine di rientrare nei parametri appena esposti.
Si parte dalla congiuntura internazionale prefigurando una lenta
lentissima ripresina, si sa per cavalcare la ripresa bisogna essere
pronti, avere un sistema fiscale equo, uno stato efficiente, una classe
politica onesta e coesa, un sistema scolastico modello, una sanità che
funziona, un sistema sociale e industriale forte, una giustizia che è
messa nelle condizioni di funzionare, cittadini motivati, e potrei
continuare … , nella Nota al DEF tutto questo non sono lo si da per già
fatto, scontato, ma, addirittura, fregandosene del fatto che secondo i
dati Eurostat, mentre il PIL dell’Area Euro, nel secondo trimestre 2013 è
cresciuto mediamente dello 0,3 per cento rispetto al trimestre
precedente, in cui si era registrata una variazione negativa del tasso
di crescita del – 0.2 per cento, l’Italia e Spagna sempre nello stesso
periodo continuavano a rimanere in recessione. Sono state Germania e
Francia a trainare la crescita con tassi più elevati rispetto alla
media, rispettivamente, dello 0,7 e dello 0,5 per cento. Su base annua
il DEF stima una contrazione del PIL italiano pari al -1,7 per cento
smentendo la precedente previsione contenuta nel DEF che davano un
contrazione al -1,3 per cento. In realtà, secondo le stime Istat,
Prometeia e altri organismi internazionali, la contrazione del Pil sarà
del -1,8 - -1,9 per cento. Per l’Italia, anche per la fine dell’’anno,
non si nota nessuna inversione di tendenza. Nella Nota al DEF, mentre
nell’Area euro si prefigura per il 2014 una crescita media del PIL pari
all’1 per cento, come per magia, si prefigura anche per l’Italia una
crescita in linea con la media europea per il 2014 pari all’1 per cento,
malgrado ancora oggi tutti i comparti economici (agricoltura,
industria, servizi e costruzioni) registrano una diminuzione
congiunturale del valore aggiunto. Ma non è finita qui, per dimostrare
alle istituzioni europee che siamo bravissimi si prefigura per il 2015
una crescita del PIL del 1,7 per cento, fino all’incremento del 1,9 per
cento del 2017. Insomma, tutto a posto. Meglio di noi possono fare
pochi. Al nostro Governo poco importa che ormai le famiglie e le imprese
non solo non ottengono credito, ma sono anche scoraggiate a chiederlo,
poco importa che secondo i dati diffusi da Unimprese 5 aziende su 8 (il
40 per cento) che riescono ad ottenere un prestito dalle banche lo
utilizzano per pagare le tasse e che per le piccole e medie imprese tale
percentuale sale al 62 per cento. Non solo è difficile ottenere un
prestito dal sistema bancario, ma quel poco che si ottiene e finalizzato
a pagare imposte e tasse anziché fare investimenti. Di fatto le imprese
italiane si trovano schiacciate tra un fisco pigliatutto e un sistema
creditizio che taglia le gambe. Si chiudono le porte al futuro. In
queste condizioni come si fa a prevedere stime di crescita del PIL
Italiano pari a quello dell’Area Euro? L’ulteriore mazzata le aziende
Italiane la riceveranno a ottobre, a novembre e a dicembre, quando
dovranno pagare l’IVA che è passata dal 21 al 22%.
La nota al DEF,
sulla base di previsioni di crescita del PIL italiano che mai ci saranno
e che fanno a cazzotti con tutte le previsioni degli altri Istituti
(CER, PROMETEIA, CONFINDUSTRIA, CONSENSUS FORECASTS ecc.), costruisce
tutti i saldi di bilancio, tra cui l’indebitamento netto, l’avanzo
primario e soprattutto il saldo di bilancio strutturale da cui si desume
un quadro di finanza pubblica, per il periodo 2014 – 2017, in linea con
quelle che sono le richieste europee. L’avanzo primario, addirittura,
secondo le previsioni, passa dal 2.4 per cento al 5,1 per cento rispetto
al PIL. Insomma gli italiani possono dormire sogni tranquilli.
Bisogna che ci sia un cambio di passo, ricordarsi che l’avanzo primario
pubblico italiano (cioè al netto della spesa per interessi) ci ha
permesso di tenere sotto il 3% il rapporto deficit/Pil e che in Europa,
con riferimento al deficit, siamo tra i paesi virtuosi, secondi solo
alla Germania. Occorre una svolta e non considerare i vincoli europei
dei tabù. In mancanza di reperire risorse immediate un’ipotesi su cui si
potrebbe lavorare potrebbe essere l’azzeramento dell’avanzo primario,
pari a 2,5 punti del Pil che vale circa 35 miliardi di euro, da
utilizzare per ridurre la pressione fiscale sulla produzione e
promuovere politiche industriali a favore delle famiglie e della piccola
e media impresa. Si libererebbe l’economia dalla cappa che più di ogni
altro fattore ostacola la voglia di investire e di produrre in Italia.
Secondo alcuni studi, attenendosi a stime prudenziali, l’azzeramento
dell’avanzo primario, per effetto del meccanismo del moltiplicatore
genererebbe una crescita di oltre 45 miliardi pari a 3 punti di Pil.
Entro l’arco temporale di circa un anno, 9 – 15 mesi secondo le stime
più attendibili, raggiunto l’effetto espansivo, anche gli effetti
immediati di incremento di deficit e debito risulterebbero compensati
per effetto dell’aumento del Pil che abbatte i rapporti di finanza
pubblica (deficit/Pil – debito/Pil) e dell’aumento delle entrate
tributarie che, trainate dalla ripresa, aumenterebbero di almeno un
punto di Pil. E’ ovvio che tale discontinuità con il passato andrebbe
concordata a livello europeo. Se l’Europa a trazione tedesca dovesse
ignorare tale ipotesi si dovrebbe valutare la possibilità di un’azione
unilaterale pur di scongiurare il baratro dentro cui ci stiamo
immergendo. La sostenibilità di tale ipotesi è rafforzata se si
considerano alcuni studi che considerano sia la composizione del debito
pubblico che il debito pubblico implicito (impegni già presi dallo Stato
per i decenni a venire e legati in particolare all’invecchiamento della
popolazione). Tali studi mettono in evidenza come l’Italia, in Europa,
ha uno dei debiti pubblici più sostenibili. E’ necessario agire su più
fronti, la spending review quale strumento per rendere efficiente e
sostenibile l’apparato dello stato in un’ottica di reale volontà
politica verso lo snellimento dell’amministrazione pubblica, la
soppressione degli enti o la loro razionalizzazione va affrontata con un
approccio molto differente dall’attuale e deve mirare veramente a
tagliare tutto quello che è inutile. Abbiamo presentato una mozione sui
tagli di spesa, quando siete pronti possiamo discuterne nell’interesse
del Paese. Noi del movimento 5 Stelle ci siamo.
Le risorse
recuperate con i tagli devono essere utilizzate per abbattere il debito
pubblico e le aliquote fiscali e contributive. La riduzione del debito
comporta minori oneri per interessi e progressivamente maggiore
affidabilità attribuita al rischio–Italia (e quindi ulteriore riduzione
della spesa per interessi a seguito della riduzione dello spread).
L’abbattimento delle aliquote incrementa nell’immediato investimenti
produttivi e consumi (effetti espansivi). Una cosa è certa: i tagli di
spesa non andranno lasciati nelle mani della pubblica amministrazione,
altrimenti in pochi anni torneremmo a registrare un nuovo incremento
delle spese inutili. Il dividendo della revisione della spesa va
restituito ai cittadini, riducendo la pressione fiscale e il debito
pubblico. La riduzione del debito è in realtà una riduzione delle tasse
spostata nel futuro. Cose da fare ce ne sono molte per il bene comune.
Invece ci ritroviamo cono la solita politica, con i soliti trucchetti
contabili. Tra Nota al DEF e la legge di stabilità, che prevedono
risorse impegnate pari agli zero virgola, perché questo ci impone
realmente l’Europa, destinate al taglio dei contributi sociali non
previdenziali e al taglio delle tasse sul lavoro, con l’introduzione del
service tax, con il nuovo patto di stabilità interno che per magia
stimolerà gli investimenti. L’attuale Governo sistemerà tutto quello che
in venti anni di malgoverno ha indotto l’Italia alla recessione. Si
continua a fare quello che si è sempre fatto, previsioni ottimistiche e
consuntivi tristissimi dove a farla da padrone sono le percentuali
sempre più alte delle risorse del bilancio destinate alla gestione del
debito pubblico. Il ciclo vizioso si ripete e non se ne esce. Intanto
non si sa ancora che pesci prendere per rimanere all’interno del 3 per
cento nel rapporto deficit PIL per l’anno 2013, al fine di evitare la
procedura per deficit eccessivo. Se non si prende atto che occorre una
svolta il prossimo bilancio consuntivo per l’anno 2013 sarà un déjà vu.
Intanto la regola del debito ci aspetta.
Barbara Lezzi
